(da un’intervista video di Claudia Lodolo)
Massimo, come aiuto regista, era più attento a cose personali che lo interessavano, come per esempio la parte figurativa di un’inquadratura. Stava attento a pulire, controllava continuamente, anche troppo. Questa attenzione spasmodica all’aspetto figurativo e ai dettagli ce l’aveva solo Antonioni. Però Massimo Antonelli batteva tutti.
Era anche un bravissimo attore: fece la parte di uno studente torturato nel mio film “Lettera aperta a un giornale della sera”. Lo fece benissimo, con grande disinvoltura.
Non ci siamo più visti per molto tempo e poi l’ho ritrovato artista che ha abbandonato il cinema per fare queste immagini straordinarie che, secondo me, sono inserite in una tradizione italiana speciale, come Sironi e Vespignani che hanno entrambi periferie, paesaggi urbani tragici, drammatici. Non ci vedo nessuna ironia, nessun elemento comico, come ho letto in alcune critiche; le cose che fa le trovo molto tragiche, spaventose e mi ha meravigliato e commosso trovare in lui questo sviluppo in un’altra direzione dal cinema. Uno sviluppo perfetto perché unisce la drammaticità di questa tradizione italiana – soprattutto la tragicità del paesaggio urbano – alla Pop Art, con l’uso di oggetti normali e con la possibilità di infinite composizioni diverse, caratteristica della Pop Art. Massimo ha risolto unificando le due tendenze.
Negli anni ’60 avevo ristrutturato una casa molto particolare, un ex lavatoio sopra piazza del Popolo. Massimo era entusiasta, gli piaceva molto il mio gusto. Mi ha commosso sapere che forse ho avuto un’influenza su di lui. In alcuni miei documentari anni ’50 sulle periferie, dove i bambini giocano per strada e dove i mestieri sono lo stracciarolo e l’ombrellaio, ci sono paesaggi urbani drammatici che somigliano molto alle immagini di Massimo. E’ interessante come lavoro: in lui sento la tragicità di questi alveari umani, l’orrore della brutalità delle periferie. Ci sono alcuni quartieri periferici come i Queens o il Bronx di New York dove sembra che gli urbanisti abbiano copiato i quadri di Massimo.
La sua è la denuncia di una società che annichilisce l’individuo. Le periferie sono un simbolo della società. Non a caso nel suo film, “Tema di Marco”, lui denunciava la società. Massimo ha vivo il senso di una società ingiusta e queste immagini di periferia sono simboliche, sono immagini di periferie moderne, ma sono denuncie della società e del mondo a cui andiamo incontro. Quindi è lì che c’è proprio l’elemento filosofico più profondo.
Tutto questo in questo ragazzo molisano che arrivò a casa mia una mattina dicendomi che veniva dal Centro Sperimentale di Cinematografia ed era interessato a farmi da assistente. Anche io sono di origine molisana. Un po’ questo, un po’ la sua aria febbrile di ragazzo 25enne, insomma lo presi subito. Si innamorava del film, anche se come assistente alla regia era più vago. Massimo si rivelò subito come un artista. E lo ritrovo con commozione oggi con questi lavori così singolari e con l’unione che fa della Pop Art, della Minimal Art sulle periferie d’oggi di tutto il mondo.
Massimo Antonelli by Citto Maselli
(from a video interview by Claudia Lodolo)
Massimo, as assistant director, was more attentive to personal things that interested him, such as the figurative part of a shot. He was careful to clean, he checked constantly, even too much. Only Antonioni had this spasmodic attention to the figurative aspect and details. But Massimo Antonelli beat everyone.
He was also a very good actor: he played the part of a tortured student in my film “Open Letter to an Evening Newspaper”. He did it very well, with great ease.
We didn’t see each other again for a long time and then I found him as an artist who abandoned cinema to make these extraordinary images which, in my opinion, are inserted into a special Italian tradition, like Sironi and Vespignani which both have suburbs, tragic urban landscapes , dramatic. I don’t see any irony, any comic element, as I have read in some criticisms; I find the things he does very tragic, frightening and I was amazed and moved to find this development in him in a different direction from cinema. A perfect development because it combines the drama of this Italian tradition – especially the tragic nature of the urban landscape – with Pop Art, with the use of normal objects and with the possibility of infinite different compositions, characteristic of Pop Art. Massimo solved the problem by unifying the two trends.
In the 1960s I had renovated a very particular house, a former wash house above Piazza del Popolo. Massimo was enthusiastic, he really liked my taste. I was moved to know that perhaps I had an influence on him. In some of my 1950s documentaries on the suburbs, where children play in the streets and where the professions are rag-picking and umbrella-making, there are dramatic urban landscapes that are very similar to Massimo’s images. It’s an interesting work: in him I feel the tragedy of these human hives, the horror of the brutality of the suburbs. There are some suburban neighborhoods such as Queens or the Bronx in New York where it seems that urban planners have copied Massimo’s paintings.
His is the denunciation of a society that annihilates the individual. The suburbs are a symbol of society. It is no coincidence that in his film, “Tema di Marco”, he denounced society. Massimo has a keen sense of an unjust society and these images of the suburbs are symbolic, they are images of modern suburbs, but they are denunciations of the society and the world we are facing. So that’s where the deepest philosophical element lies.
All this in this boy from Molise who arrived at my house one morning telling me that he came from the Centro Sperimentale di Cinematografia and was interested in being my assistant. I am also of Molise origin. A little of this, a little of his feverish air of a 25-year-old boy, in short, I took to him immediately. He fell in love with the film, even though he was more vague as an assistant director. Massimo immediately revealed himself as an artist. And I find it with emotion today with these singular works and with the union of Pop Art and Minimal Art on today’s suburbs all over the world.