Fuorigioco di Stefano Elena

Fuorigioco di Stefano Elena

All’insegna della solennità mediocre di una ricorrente ferita di adagiamento sui troni dell’indifferenza, prende a muoversi e a farci male la ruvida trasmissione emessa da Massimo Antonelli.
Lui attribuisce l’afflizione che poggia sulla distrazione (e distribuzione) di sensi riposati dall’offerta irraggiungibile della monumentalità, ha una società che invita al relax per lacerare meglio, per stabilire con maggiore accuratezza – proprio mentre siamo adagiati – le modalità lesive con le quali graffiarci. Palazzi vicino al castello Kafkiano (padrone di tutte le burocrazie), grattacieli e costruzioni compongono il quadro di Antonelli come gli scarti e i detriti metropolitani portavano la città dentro i collage combinati di Rauschenberg.
La provvisorietà di assemblaggi urbani giace sopra l’instabilità di ipocrisie colorate, testimonia l’invisibilità di centri in preda al caos sulle cui facciate traspare l’armatura in scala di tutti gli scudi indossati dalle distanze.
Un attrezzo da cucina veste cos i panni di un marchio di artista adoperato per creare assetti multicolore precipitanti o individualismi ben piazzati a prova di scosse emotive. Ferro laccato e tinte pop vivacizzano la recita dell’imperturbabilità e del distacco che si fondono davanti al nero che si ergono maestose e compatti come fortezze piene di buchi dai bordi rilevati.

Offside by Stefano Elena

On a search for the mediocre solemnity of a recurring wound of setting down into thrones of indifference, the rough transmission put out by Massimo Antonelli starts into motion and hurt us. He attributes the affliction that rains on the distraction (and destruction) of the senses relaxed by the unreachable offering of monumentality, he has a society that invites us to relax in order to lacerate us even more, to establish even more precisely – just when we are relaxed – the injurious ways thay can use to scratch us. Palaces near the Kafkian castle (the father of all bureaucracies), skyscrapers and buildings make up Antonelli’s picture like scraps and metropolitan debris brought the city into the combined collages of Rauschenberg. The temporary nature of urban assemblages hover above the instability of coloured hypocrisies, testifying to the invisibility of urban centers who are prey to chaos on whose facades appears the armour sized to scale of all of the shields from the distances. So a kitchen tool assumes the guise of a brand of an artist used to create multicolour precipitating assets or individualisms that are well grounded against the test of emotional blows. Lacquered iron and pop shades brighten up the performance of imperturbability and of the detachment which blends before black majestically rising up compact as fortresses full of holes from the raised edges.