La scelta di Massimo Antonelli riguarda la nuova virtù conferita a una sorta di automa manuale, cioè a un carillon bislacco, che assume aura se non è maneggiato, se resta in potenza un’arma o il corno di un fantastico unicorno, come un arto dell’uomo di latta del Mago di Oz. Di fatto è una grattugia inutilizzata ma con le allusioni a un unicorno magico o a una torre spaziale. Questi lavori possono essere compresi nel canone ludico che è la pratica della trasmutazione fantastica dell’oggetto comune. La bravura consiste nell’individuare l’oggetto miserevole, d’uso quotidiano, in grado di assumere su di sé le allegorie e le prefigurazioni di un giocattolo serio. In apparenza coincide a pappagallo con una grattugia, ma è una scala paradisi, una turris eburnea, ma anche un cofanetto di castità e uno strumento di martirio.
Antonelli è un creatore di una creatura artificiale, che prelevata dal suo contesto e riprodotta in serie o assolutizzata diviene un apparecchio bizzarro e chimerico.
Il gusto dell’oggetto strano e balordo, che assume quest’aspetto dall’astrazione dal resto del mondo, procura anche l’esibizione di denti minacciosi, come una decorazione costruttiva esplicata con il gioco dei contrappesi microscopici e delle membra antagoniste. Di preferenza Antonelli lascia gli ingranaggi allo scoperto in quanto viene preferito il meccanismo non simulato, ma se decide di mascherare l’oggetto sotto colorazioni zoomorfe è per fornire l’impressione di un animismo dell’automa (una capacità camaleontica di mimetizzarsi con le decorazioni che lo decorano). In queste sculture fondamentale è il passaggio dal simulacro all’animazione cromatica.
La costruzione di trastulli, più che sculture, dimostra una posizione anticlassica e antiscultorea collocabile sulla scia degli androidi, in questo caso di membra di androidi. Eppure a tratti si costituisce una sorta di neoclassicismo aberrato e bizzarro, e forse questa è una delle invenzioni più originali, perché significa intaccare l’imperturbabilità delle forme classiche, come fossero porzioni fisse di colonne dalle scanalature orticanti.
Tutto è in apparenza molto semplice: la figura adottata da Antonelli è quella comune e disadorna di una grattugia, l’oggetto non ha bisogno di protesi e appendici, né di sofisticati marchingegni e costruzioni macchinose per essere più minaccioso, né di ingegneria lambiccata perché è in sé già pieno di capriccio. Si tratta, infatti, del meraviglioso fiabesco di una musurgia bizzarra, in cui l’apparecchio e il gingillo ospitano decorazioni arabescate fisse tanto innocue (quando prevale il dato occhialuto di un corpicino tempestato di pupille) quanto irritanti (perché i dentini ora sembrano viti, ora chiodi, ora ganci, ora punteruoli, ecc.). Vi è una minaccia prodotta dalle linguette per grattugiare come denti digrignati e dal rischio di pungersi, se si tocca l’opera, a causa dello strofinamento. L’ humour è ottenuto con l’assemblaggio per aumentazione e sovrabbondanza di modelli esposti cosicché l’opera può divenire anche un labirinto babelico, ora una metropoli lillipuziana ora un cimitero di loculi.
Eppure, soprattutto quando uniti come in orchestra, hanno anche un aspetto organologico, perché sfregati possono emettere sibili, prodotti dall’acustica dei materiali o dalla squillanza dei colori (Antonelli applica alla lettera il valore del cromatismo), o dagli spifferi viscerali ventilati dalla macchinosa configurazione o semplicemente dal tintinnio dei ferri. Nell’orchestra di automi o carillon senza meccanismo di Antonelli, ciò che più fa effetto è il rumore sordo che farebbero se fossero percossi da fuori, ma più forte di questo è la taciturna natura bambolesca di questi oggetti che minaccia di essere in potenza qualcosa di misterioso.
Infatti, la musica misteriosa che promettono o minacciano (ma restano non suonati) è quella ineducata da bambini, farebbero un fracasso complesso che produrrebbe un rumore ancora in grado di perseguire, inaspettatamente, il suono di latta degli esperimenti sonori futuristi (come futurista è l’agglomerarli come una città alla maniera delle quinte teatrali delle marionette).
Antonelli riconosce che la sua arte sta in rapporto con la realtà spirituali con lo stesso grado di ridicolo e di esaltazione di un mulino a vento di Don Chisciotte. L’uso strumentale di un oggetto e la sua assolutizzazione rientra nella tecnica circense della virtù delle aberrazioni. È spettacolo di automi da giostra. Tali trottole non possiedono in verità una meccanica e hanno spiegazioni ordinarie. Altrimenti ogni atteggiamento scultorio automatizzato ha in sé un rischio e una piega equivoca circense, per l’inevitabile sfumatura di ogni pretesa animazione superiore. Certamente sculture ammaestrate e pittura circense incarnano l’indicazione che ciò che vale di più è praticare i giochi più sofisticati, facendo arte con pupazzi e gingilli, cosicché si dovrebbe vivere tutta la vita in modo conforme alla nostra natura, che è quella di chi gioca e poco partecipa alla verità (Platone, Leggi VII). Se Antonelli presenta installazioni di automi non ammaestrati significa che richiede una regressione ancora più puerile, e perciò più fantastica, per una parata di un carosello di fabbricati inanimati. Sarà il colore, l’allineamento, la sovrapposizione ad animarli.
In questi lavori anche una piega di orrore è ludica, più affine al gioco che alla serietà. La grattugia è un meccanismo torturante e inesorabile, perché l’innocenza dell’artificio trasmette innocenza anche all’elementare sistema di martirio che potrebbe attuare. Nell’accumulo, invece, si viene a costituire un apparato da macchina teatrale, che offre ardite e mirabolanti apparecchiature, assecondando la proliferazione dell’invenzione visiva da teatro delle meraviglie, con montaggi anche spettacolari, alla maniera di torri di funamboli.
Le sculture formano una giostra incoronata: i lati dentati fungono da armatura squamata, perciò sono una corazza teriomorfa (ancora più evidente quando Antonelli ne dà la versione fossile).
Tutto è un gioco artificiale e meccanico, che non deve la propria esistenza a nessun bisogno umano, ma alla sua sola essenza. Ogni scultura si governa da sé e incanta tanto la memoria quanto la volontà. Niente davvero può essere dimostrato con i giocattoli, nessun segreto della natura viene svelato dai giocattoli? Solo deve essere mostrato il governo che si esplica attraverso la tortura benigna cui rinviano, pertanto come strumenti di fachirismo ludico, monotono e un po’ ottuso che persevera nel continuo approfondimento della stessa intenzione.
Si dimostra il governo delle realtà superiori che si esplica attraverso l’efficacia della giostra. Così viene riconosciuto che la scultura più pura è priva di ogni radice, perché è tanto automa quanto spirito, nella consapevolezza che non esiste in essa alcun conseguimento spirituale apparente da raggiungere. Le grattugie di Antonelli sono un fregio perpetuo, che risolve, coniugando divinità e macchina, il dilemma se un oggetto pragmatico promosso a giocattolo diventi più divino. In questo senso ogni scultura (sculturoide) dovrebbe essere intesa come un totem sotto modeste spoglie. C’è qualcosa in comune con lo strano esserino Odradek di Kafka, ogni scultura dimostra il valore di un inadattamento mirabile, ormai è fuori dalla propria nicchia ecologica. Ha subìto questa strana vicenda evolutiva, divenendo scultura o elemento di scultura ed è riuscito a sopravvivere alle vicissitudini della fine della propria storia e della propria funzione. La caratteristica di questa specie è quella di aver raggiunto l’isolamento. Le vere nature morte sono gli organismi non più adatti all’ambiente e non più armonici, mancanti di correlazioni e di legame e coerenza ormai con gli aspetti consueti. Ad esempio l’aggeggio di Kafka (Odradek) ha le apparenze di un rocchetto di spago, piatto, a forma di stella. Non è soltanto un rocchetto, dal centro della stella viene fuori anche un’asticella trasversale e a quest’asta se ne unisce un’altra ancora ad angolo retto. Con l’aiuto di quest’ultima asta da un lato e di una delle punte della stella dall’altro lato, il tutto può stare in piedi come su due gambe. Si è tentati di credere che la creatura avesse avuto una volta una specie di forma regolare e che ora si sia un po’ dissestata. Eppure la cosa non sembra essere così; almeno non vi è alcuna traccia di questo, non emergono suture o rotture che indicherebbero qualcosa di simile, l’insieme sembra incoerente, invece a modo suo è coerente. È un mortale? Si chiede Kafka. Tutto ciò che muore, ha una qualche sua natura, un tipo di attività, che di conseguenza lo porta a esaurirsi, questo non è più vero per Odradek, come un giorno non lo sarà più per le grattugie di Antonelli.
Totem without taboos. tin unicorns by gianni garrera
Massimo Antonelli’s choice concerns the new virtue conferred on a sort of manual automaton, that is, a bizarre music box, which takes on aura if it is not handled, if it remains potentially a weapon or the horn of a fantastic unicorn, like a limb of the The Tin Man from the Wizard of Oz. In fact it is an unused grater but with allusions to a magical unicorn or a space tower. These works can be included in the playful canon which is the practice of the fantastic transmutation of the common object. The skill consists in identifying the miserable object, of daily use, capable of taking on the allegories and prefigurations of a serious toy. Apparently it coincides closely with a grater, but it is a scala paradisi, an ivory turris, but also a casket of chastity and an instrument of martyrdom.
Antonelli is a creator of an artificial creature, which, taken from its context and reproduced in series or absolutized, becomes a bizarre and chimerical device.
The taste for the strange and bizarre object, which takes on this aspect from the abstraction from the rest of the world, also causes the display of threatening teeth, like a constructive decoration expressed with the play of microscopic counterweights and antagonistic limbs. Antonelli preferably leaves the gears in the open as the non-simulated mechanism is preferred, but if he decides to mask the object under zoomorphic colors it is to provide the impression of an animism of the automaton (a chameleon-like ability to blend in with the decorations that decorate it). In these sculptures, the transition from the simulacrum to chromatic animation is fundamental.
The construction of toys, rather than sculptures, demonstrates an anti-classical and anti-sculptural position that can be placed in the wake of androids, in this case of android limbs. Yet at times a sort of aberrated and bizarre neoclassicism is constituted, and perhaps this is one of the most original inventions, because it means undermining the imperturbability of classical forms, as if they were fixed portions of columns with twisting grooves.
Everything is apparently very simple: the figure adopted by Antonelli is the common and unadorned one of a grater, the object does not need prostheses and appendages, nor sophisticated contraptions and cumbersome constructions to be more threatening, nor sophisticated engineering because it is in itself already full of whim. It is, in fact, the marvelous fairy tale of a bizarre musurgia, in which the device and the trinket host fixed arabesque decorations that are as harmless (when the bespectacled aspect of a little body studded with pupils prevails) as they are irritating (because the teeth now look like screws, now nails, now hooks, now awls, etc.). There is a threat produced by the grating tabs like grinding teeth and the risk of getting stung, if you touch the work, due to rubbing. The humor is obtained with the assembly by increase and overabundance of exposed models so that the work can also become a Babelian labyrinth, now a Lilliputian metropolis, now a cemetery of burial niches.
Yet, especially when united as in an orchestra, they also have an organological aspect, because when rubbed they can emit hisses, produced by the acoustics of the materials or by the brightness of the colors (Antonelli applies the value of chromaticism to the letter), or by the visceral drafts ventilated by the cumbersome configuration or simply by the clanking of the irons. In Antonelli’s orchestra of automatons or music boxes without mechanism, what is most impressive is the dull noise they would make if they were hit from outside, but stronger than this is the taciturn, doll-like nature of these objects which threatens to potentially be something mysterious.
In fact, the mysterious music that they promise or threaten (but remain unplayed) is that uneducated by children, they would make a complex noise that would produce a noise still capable of pursuing, unexpectedly, the tin sound of futurist sound experiments (as futurist is the ‘agglomerate them like a city in the manner of puppet theater wings).
Antonelli recognizes that his art relates to spiritual realities with the same degree of ridicule and exaltation as a windmill in Don Quixote. The instrumental use of an object and its absolutization is part of the circus technique of the virtue of aberrations. It’s a carousel automaton show. Such spinning tops do not actually have mechanics and have ordinary explanations. Otherwise every automated sculptural attitude has in itself a risk and an ambiguous circus twist, due to the inevitable nuance of every claimed superior animation. Certainly trained sculptures and circus painting embody the indication that what is most valuable is practicing the most sophisticated games, making art with puppets and trinkets, so that we should live our whole life in a way that conforms to our nature, which is that of those who play and participates little in the truth (Plato, Laws VII). If Antonelli presents installations of untrained automatons it means that he requires an even more childish, and therefore more fantastic, regression for a parade of a carousel of inanimate buildings. It will be the color, the alignment, the superimposition that animates them.
In these works even a twist of horror is playful, more similar to play than seriousness. The grater is a torturing and inexorable mechanism, because the innocence of the artifice also transmits innocence to the elementary system of martyrdom that it could implement. In the accumulation, however, a theatrical machine apparatus is formed, which offers daring and amazing equipment, supporting the proliferation of visual invention from the theater of wonders, with even spectacular montages, in the manner of tightrope walkers’ towers.
The sculptures form a crowned carousel: the toothed sides act as scaled armor, therefore they are a theriomorphic armor (even more evident when Antonelli gives the fossil version).
Everything is an artificial and mechanical game, which does not owe its existence to any human need, but to its sole essence. Each sculpture governs itself and enchants both the memory and the will. Nothing really can be proven with toys, no secrets of nature are revealed by toys? Only the government must be shown which is expressed through the benign torture to which they refer, therefore as instruments of playful, monotonous and somewhat obtuse fakirism which perseveres in the continuous deepening of the same intention.
The government of superior realities is demonstrated and is expressed through the effectiveness of the carousel. Thus it is recognized that the purest sculpture is devoid of any root, because it is as much an automaton as a spirit, in the awareness that there is no apparent spiritual achievement to be achieved in it. Antonelli’s graters are a perpetual frieze, which resolves, by combining divinity and machine, the dilemma of whether a pragmatic object promoted to a toy becomes more divine. In this sense every sculpture (sculturoid) should be understood as a totem in modest guise. There is something in common with Kafka’s strange little being Odradek, each sculpture demonstrates the value of a wonderful inadaptation, it is now outside its ecological niche. It underwent this strange evolutionary event, becoming a sculpture or element of sculpture and managed to survive the vicissitudes of the end of its history and its function. The characteristic of this species is that of having achieved isolation. True still lifes are organisms no longer suited to the environment and no longer harmonious, lacking correlations and links and coherence with the usual aspects. For example, Kafka’s contraption (Odradek) has the appearance of a flat, star-shaped spool of string. It’s not just a spool, a transverse rod also comes out of the center of the star and another rod joins this rod at a right angle. With the help of this last rod on one side and one of the points of the star on the other side, the whole thing can stand upright as if on two legs. It’s tempting to believe that the creature once had a sort of regular shape and has now become a bit uneven. Yet this does not seem to be the case; at least there is no trace of this, no sutures or breaks emerge that would indicate something similar, the whole seems inconsistent, but in its own way it is coherent. Is he a mortal? Kafka asks himself. Everything that dies has some nature of its own, a type of activity, which consequently leads it to exhaustion, this is no longer true for Odradek, just as one day it will no longer be true for Antonelli’s graters.