… questi luoghi si mostravano a me come tiranni transitori, e, in qualche modo, come gli agenti del caso presso la mia sensibilità. Mi fu chiaro infine che avevo la vertigine del moderno (Louis Argon Le paysan del Paris 1926). Girovagando tra i palazzi e le città di Antonelli questo che si avverte: la vertigine del moderno, la precarietà dello spazio metropolitano che tutto può inghiottire. I borghi urbani, le città fabbrica, le periferie industriali, sono da sempre argomento d’indagine per l’artista, sia nei suoi numerosi documentari per la televisione, sia nel suo cinema verità. Dopo essersi confrontato per diversi anni con la cinepresa e aver ricevuto importanti riconoscimenti, Massimo ritorna a dedicarsi all’arte figurativa dalla quale era partito. Per Antonelli l’incontro con la grattugia, avvenuto per caso in un negozio di casalinghi, ha rappresentato un ritorno all’infanzia, alla stanzetta dei giochi, alle costruzioni Lego e Meccano.
In quel momento gli agenti del caso, come li chiama Argon, arrivarono alla sua sensibilità, ed un oggetto da sempre posseduto e usato si rivela come qualcosa di nuovo , insolito, meraviglioso. Il meraviglioso si verifica nel caso oggettivo: nell’esplorazione di una città e di conseguenza nell’analisi della società contemporanea attraverso la riscoperta di un oggetto. Rompere la familiarità con le cose ha permesso a Massimo di scoprire come sono fragili i rapporti che legano gli elementi della realtà, tanto fragili da poterli disarticolare, trasformare in altre cose, trasmutare continuamente.
In questo modo l’autore raggiunge un piano parallelo da dove poter osservare il mondo in maniera ironica e godere di ci che da questo spettacolo scaturisce. I suoi giocattoli, le sue costruzioni, il suo mondo ludico sono ora tristi, ora carichi di speranza, ma sempre portavoce del suo stato d’animo. I buchi delle grattugie sono per lui la tristezza, la solitudine, l’alienazione, la paranoia, l’ulcera perforata, citando un’intervista di qualche anno fa, ma quei buchi sono anche il punto privilegiato dal quale porsi in osservazione. Un’ironia paradossale e grottesca diventa dunque materia nei suoi lavori.
La città che meglio si riconosce nelle sue opere New York, il simbolo dell’America, del mondo occidentale, la città mito della libertà. Con la grattugia invece, che qui palazzo o grattacielo se impilata, l’artista presenta una New York smitizzata: Non può esserci espressione di libertà in una città graffiante, popolata di palazzi freddi. Dai buchi di quei palazzi escono solo grida sorde perché nessuno può essere udito in una megalopoli in cui l’indifferenza, l’ambizione, il consumismo sfrenato ed un sistema economico che schiaccia il resto del mondo, sono i motori che la muovono.
La Grande Mela, così chiamata perché nei secoli simbolo di tentazione e lido di approdo per i sogni e le speranze di gran parte degli uomini della Terra, si trasformata qui da ammaliante seduttrice in una macchina vorace e tiranna che attirando a s, annienta nella sua indifferenza. Ma i valori, le piccole cose, l’animo del fanciullo che risiede in ognuno di noi, dove sono finiti? L’uomo dove si trova in tutto questo? L’essere umano non compare nelle istallazioni di Antonelli sotto sembianze o spoglie palesi, ma in sintesi evocato attraverso le grattugie-palazzo che sono abitate o i simboli del lavoro di questa ultima ma significativa produzione.
Le sue scatole, le sue istallazioni, sono dei teatrini, delle quinte, gli allestimenti per un dramma: quello della vita e della società contemporanea, rappresentato qui a metà tra il tragico e il comico. Ad un certo punto accanto alla grattugia in alluminio lasciata al naturale fredda e carica di rammarico e rabbia che descrive un paesaggio urbano posto al tramonto di un’era, compare la grattugia smaltata di diversi colori, che pone le nuove città all’alba di un’epoca nuova. I colori qui si fanno portavoce di un messaggio ottimistico per la società urbana del futuro, una sorta di ritorno al mito.
La grattugia rappresenta un oggetto del quotidiano tolto dal contesto in cui esprime la sua utilità per essere catapultato in un ambiente in cui viene celebrato come oggetto d’arte non per compiere un’operazione di provocazione o dissacrazione della cultura e dell’arte cosiddetta accademica, ma per tentare di annichilire nella denuncia la società urbana contemporanea. La storia ci ha sempre presentato due tipi di poeti ed artisti, uno concentrato nella rappresentazione del mondo interiore, dei sentimenti, dei sogni, ed uno impegnato a rappresentare oggettivamente la realtà esterna: In Massimo, poeta ed artista nell’animo oltre che nella forma, convivono entrambi questi tipi di autori perché attraverso i capricci della sua personalità, le sue angosce e speranze, le sue delusioni e conquiste, il suo misticismo e i suoi ideali, anche politici, che ci presenta la realtà.
I mondi dell’artista, le stanze colme dei suoi giocattoli, i palcoscenici che allestisce, rappresentano al contempo un rifugio dove l’autore si ritira per sottrarsi alla sofferenza e al dolore. Non c nulla che possa meglio esorcizzare l’angoscia esistenziale che la rappresentazione della stessa in forma ironica. Massimo si diverte con le pedine ad incastro delle sue composizioni, sovrappone i pezzi, li aggiunge o li toglie, accosta i colori, li dispone su superfici diverse, ogni volta trasforma e crea un nuovo paesaggio, ogni volta racconta una storia nuova. Sempre i suoi lavori sono sobri, eleganti e minimalisti, l’amore per il design e l’architettura lo ha portato a utilizzare i colori della Bauhaus e a farli propri. Anche in questa ultima produzione egli gioca con gli elementi delle istallazioni e fa giocare gli elementi stessi tra loro.
Questi dodici pezzi, simbolo del lavoro e della classe operaia, sono composti da attrezzi verniciati di argento metallizzato e da pile di grattugie incastrate e fissate ai manici, ciascuna colonna di grattugie utilizza per due volte i sei colori Antonelli. Il paradosso e l’ironia scaturiscono anche in questo caso dall’incontro di oggetti in contrasto: attrezzi da lavoro operaio e attrezzi da cucina, in un luogo dove sono allo stesso modo fuori luogo; una mostra d’arte, e dove sfuggono alla loro finalità ed identità per assumerne un’altra. Tutto questo possibile con un’operazione concettuale ne poetica.
Ho chiesto all’artista di definirsi con una sola parola e la risposta stata: “Sono un sognatore. un animo gentile e con spirito curioso e sognatore che ci si deve avvicinare alla comprensione di questa mostra danese.” Un viaggio nel mondo e nella società contemporanea attraverso un grande maestro che riesce ancora a stupirsi e a stupire con spirito da bambino. In una società in cui l’abitudine distrugge la percezione dell’insolito come meravigliosa, trovare un artista ed un uomo in cui non morto il sentimento dell’esistenza, ma che celebra costantemente lo stupore di fronte al quotidiano, diventa un’occasione importante ed unica.
The vertigo of modernity by Nori Zandomenego
… to me these places looked like transitory tyrants and somehow like the case agents of my sensitivity. And finally I understood that I had the vertigo of modernity (Louis Argon “Le paysan de Paris” 1926). It is exactly that one feels while wandering in the midst f Antonelli’s buildings and cities:the vertigo of modernity, the precariousness of the omnivorous metropolitan space. Urban neighbourhoods, factory cities, industrial estates are the constant topics of the artist’s investigation for the artist, both in his numerous television documentaries and in his reality cinema. After having dealt for some years with the cinematographic camera and having received important prizes, Massimo returns to figurative art – his initial point of departure. Antonelli’s encounter with the grater, a matter of pure chance in a household item boutique, represented a return to the childhood of the toy room, of pottering with Lego and Meccano. At that instant the case agents, as Argon calls them, getto his sensitivity, and an ordinary routinely used object reveals himself as something new, unusual and marvellous. The marvel comes true through an objective case: through the exploration of a city and consequently through the analysis of contemporary society, thanks to having rediscovered a particular object. Having broken with the familiarity of things Massimo was able to discover how fragile are the relationships that link together the elements of reality: so fragile as to be able to unhinge, to transform, to transmutate endlessly.
Thus, the author reaches a parallel plane wherefrom to look at the world with irony and to enjoy whatever the spectacle may offer. His toys, his constructions, his playful ways are at times sad, and at times full of hope, but always a mirror of his soul. For him, the holes in the graters are the sadness, the solitude, the alienation, the paranoia, the perforated ulcers. This is according to an interview taken some years ago. However these holes are also the privileged observation points. That’s how the paradoxical and grotesque irony becomes, in his works, mater.
The city most easily recognized in his pieces is New York – a symbol of America and of the Western world, a city of the mith of freedom. Conversely, with the grater as high-rises or, if pilled up, as skyscrapers, the artist presents a New York stripped of its mith. There can’t be an expression of freedom in a grating city populated by cold buildings. Only deaf screams come out of the holes in those buildings because nobody can be heard in a megalopolis where indifference, ambition, unrestrained consumption and an economic system that squashes the rest of the world are the engines that keep it moving.
The Big Apple, so called for having been for centuries a symbol of attraction and the beach-head of the hopes and dreams of a large part of most of the people of the world – from a seductive charmer has transformed itself here into a voracious and tyrannical machine that sucks you in only to annihilate you in its indifference. But the values, the small things, the little child’s soul that is in everyone of us, where did they all go? Where is a human being in all this? In Antonelli’s installations human beings doesn’t appear in any obvious guises, but is a synthesis evoked through the residential grater-buildings or through the symbolism of workr of this last but significant production.
His boxes, his installations, are little theaters, the stage set of a drama of life and of today’s society represented here midway between the tragic and the comical. At a certain point, one of the aluminum grater is left as it is and loaded with bitterness and anger describing an urban landscape at the dusk of an era, the enamelled grater of different colors appears, which places the new cities at the dawn of a new era. But near it one can see a multicolour grater suggesting new cities at the dawn of a new epoch. Here the colours carry an optimistic message for the urban society of the future, a sort of a return of the myth.
The grater represents an everyday object taken out of context of its utility to be thrown into a milieu where it is celebrated as an object d’art, not to provoke or to desecrate the so-called academic culture and art, but as an attempt to negate contemporary urban society in the denouncing it. History has always given us with two types of poets and artists: one concentrates on representing tthe interior world of sentiments and dreams, and the other is involved in objective representation of external reality: In Massimo, who is a poet and an artist not only in form but also in his soul, both types are found together. This is because he presents reality through his “personality quirks”, through his anxieties and hopes, his disillusionments and conquests, his mysticism and his ideals, including even the political ones.
The artist’s worlds, the rooms full of his toys, the stages that he sets, represent, all of them, a refuge where the author retreats to escape from pain and suffering. There is nothing that can better exorcise the existential angst than representing it ironically. Massimo is having fun with the jigsaw-puzzle bits of his compositions, he puts the one on top another, adds and subtracts them, juxtaposes colours, spreads them on different surfaces, every time transforming and creating a new landscape, every time telling a new story. His works are always sombre, elegant and minimalist, his love for design and architecture prompts him to use Bauhaus colours and make them his own. In this last production he too plays with the part of the installations and makes parts play among themselves.
These twelve pieces, a symbol of labour and of the working class, are composed of tools painted metallic silver and of the piles of encased graters fixed to the handles. Every column of graters uses six Antonelli colours twice. In this case, too, the paradox and irony stem from the clash of contrasting objects: workman’s tools and cooking utensilis together in a situation where all are out of place – in an art show – and where they escape from their purpose and identity to acquire the new ones. This is possible through a conceptual and poetic operation.
He is presento in important shows and collections and for quite some time has strong intellectual and human ties with his gallery owner Massimo Lupoli of Arturarte. I asked the artist to define himself with a single word and a reply was: “I am a dreamer”. And it is with a gentle soul and a curious spirit of a dreamer that one must try to comprehend this Danish show. It is a voyage in contemporary world and society in the company of a great master still able to amaze both spectators and even himself with his childish spirit.. In a society where habit destroys the ability to marvel at the unusual, it is a rare and important occasion to find an artist and a man in whom the feeling of existence is still alive celebrating the continuous wondering at the ordinary.